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CINEMA E SPETTACOLO


The Place


Dio è nell'indirizzo delle scelte che ciascuno di noi fa ogni giorno

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Il film THE PLACE mette in scena vizi e virtù del genere umano... in soldoni enfatizza come l'essere umano, pur di ottenere ciò che desidera, sia disposto a fare anche cose "ORRIBILI",sempre pronto a trovar loro una giustificazione morale che trasformi il deplorevole in legittima difesa. ("C'è tanta gente che uccide in un modo o nell altro per ottenere quello che vuole" asserisce un personaggio che sta per far saltare in aria un locale gremito di persone).
La cosa interessante sono gli sviluppi successivi alla decisione deplorevole presa e messa in atto: le cose raramente vanno come pianificato, perché nessuno di noi è da solo sulla terra... Tutti interagiamo necessariamente con qualcuno, e quel qualcuno è un universo imponderabile ed imprevedibile di "angelo e demone", esattamente come OGNUNO.
Quindi ... il caos.
Può andar bene o può andar molto male. vDi sicuro, più sono le persone che scelgono il demone per soddisfare la propria cupidigia solipsista, più aumenta la probabilità che le cose, ingenerale e per tutti, vadano male.
Un po' uno specchio dei tempi.
Non che l'uomo non sia così da sempre... è che viviamo uno strano momento storico culturale, in cui il rispetto della morale e del prossimo equivalgono a "soccombere socialmente".
Dice un personaggio del film:" C'è qualche cosa di orribile in ciascuno di noi. E chi non è costretto a scoprirlo... È FORTUNATO."
Grazie al cielo però c'è anche chi, disperato perché ha perso DIO, farebbe qualsiasi cosa per ritrovarlo.
Dio non è chissà dove.
Dio è nell'indirizzo delle scelte che ciascuno di noi fa ogni giorno.

Risorghi! Orazione funebre per Fantozzi

Guido Vitiello per il Il Foglio, 3 luglio 2017

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Chi sarà tanto sfrontato da calare un congiuntivo in un’orazione funebre per Paolo Villaggio? Vadi pure ragioniere, procedi adagio verso la luce, risorghi! La questione non era ignota allo stesso Villaggio fin dai primi racconti di Fantozzi. Ai funerali del professor Vignardelli Bava, prematuramente scomparso all’età di novantadue anni, prende la parola per l’eulogia il collega professor Bellotti-Bon: “‘Se noi ora fuuu…’ e qui si bloccò. Si era trovato di fronte alla tragica barriera di un congiuntivo”. Non sa bene come coniugare il verbo, resta incagliato in quel sibilo interlocutorio, vorrebbe farsi da parte. “Coro di voci sghignazzanti: ‘Ah! Ah! Si ritira eh? Non ha più congiuntivi!’. ‘No’, fece il Bellotti, ‘ne ho ancora uno, ma vorrei tenermelo per la notte. Non si sa mai’”.
Un congiuntivo di scorta, in effetti, può far comodo. Perché non è in ballo un principio di astratta dogmatica grammaticale: il congiuntivo non è il congiuntivo, è il ragionare, è l’orizzonte mentale che indica, è tutto il bagaglio di presupposti e di non detti che si trascina dietro. Non è solo affare di piccoloborghesi e parvenu assetati di distinzione, che s’inerpicano di subordinata in subordinata su trampoli linguistici via via più barcollanti, e neppure di popolani che mettono il naso fuori dal dialetto per fare il verso alla lingua della burocrazia post-unitaria: per quello bastavano i film di Totò e Peppino. Nella violentissima microsocietà fantozziana il congiuntivo non è un ornamento, è un fondamento: per dirla un po’ pomposamente, da quel modo verbale passano tutte le forme della dialettica servo-padrone.
Risuona quasi sempre nella forma esortativa, coprendo l’intero arco che dall’invito cortese arriva all’ordine imperioso. Può servire a comporre formule di sottomissione cerimoniosa e masochistica a un passo dalla parodia ostile, che celano dietro un intrico di “facci lei” e di “dichi pure” un risentimento esplosivo – che però non esplode quasi mai, se non quando Fantozzi abbocca ai comizi da mensa del comunista Folagra, pecora rossa dell’azienda, e spacca le vetrate della megaditta. Diverso è il congiuntivo quando tuona dalla voce del padrone, che scudiscia i sottoposti a colpi di “se ne vadi!” e di “eschi!”. E se la coniugazione malcerta dell’impiegato è ancora carica di vergogna e di inadeguatezza, nelle sgrammaticature del direttore c’è qualcosa di trionfante. È l’ignoranza senza complessi, ostentata come segno di distinzione, la stessa di cui scriveva Goffredo Parise in un articolo del 1973 dall’esordio fantozziano: “Ho conosciuto un medio industriale di provincia (maglierie) sui sessant’anni, completamente analfabeta”.
A che punto è la notte? Servirà il congiuntivo di scorta del professor Bellotti-Bon? Il tema è tornato tragicamente attuale ora che abbiamo un vicepresidente della Camera (e non solo lui, a essere onesti) ben lontano dal padroneggiare l’italiano. L’onorevole Di Maio parla come Fantozzi, scrivono i giornali per canzonarlo – e c’è del vero e del falso, serve solo un rapido riepilogo. Le grammatiche definiscono il congiuntivo modo dell’incertezza e della possibilità, e quando Craxi il decisionista cominciò a preferirgli il più brusco indicativo, anche a costo di qualche errore, il linguista Luciano Satta commentò: “Il potere logora i congiuntivi di chi lo detiene”. Eravamo ancora nella Prima Repubblica, il cui muro già mezzo marcio sarebbe crollato di lì a poco sotto il trattore di un magistrato-contadino per il quale la grammatica era una cagata pazzesca. Quando Di Pietro entrò in politica, ricorda Giuseppe Antonelli nel recente Volgare eloquenza, un panettiere suo sostenitore disse: “Finalmente il partito del popolo ha candidato un uomo del popolo. Uno che sbaglia i congiuntivi come noi”. Ma anche quella stagione è passata. E allora, come sbaglia i congiuntivi Di Maio, ben più assertivo di Craxi nelle sue sparate? Come un popolano? Come un impiegato? Non esattamente. Io direi che li sbaglia come un Fantozzi diventato di colpo megadirettore.

Collateral Beauty


"La cosa importante è cogliere la bellezza collaterale, che è il legame profondo con tutte le cose"

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A seguito di una drammatica perdita familiare, un importante dirigente di New York (Will Smith) prosegue la sua vita carico di rabbia, dolore e progressiva apatia. Oltre a buttar via la sua vita, questo atteggiamento mette a rischio anche la vita dell’importante azienda di cui è socio di maggioranza; è a questo punto che alcuni suoi amici e colleghi, escogitano un piano drastico per tentare di evitare un disastro finanziario che travolgerebbe tutti e, magari, per provare a dare una scossa anche al loro amico.
Il film, diretto da David Frenkler , vede chiamati a raccolta (oltre al protagonista) interpreti ben noti come Edward Norton, Kate Winselet, Kira Knightley ,Helen Mirren e Michael Pena; un cast notevole con cui sembra quasi si voglia arrivare a calcare le orme dei successi cinematografici che –in un recente passato- hanno visto il poliedrico Will Smith diretto più volte da G. Muccino in commedie drammatiche come, appunto, Collateral Beauty.
La trama è interessante e gli interpreti sono diretti ad arte per rendere il film coinvolgente, e la sceneggiature dona una dosato equilibrio tra dramma, leggerezza, divertente suspance, commozione ed occasioni di riflessione. Tuttavia, non è possibile nascondere come una certa nostalgia di G. Muccino e della sua specifica “ densità italiana” si avverta ugualmente.

Allied - Un'ombra nascosta

Un film romantico e d'azione ambientato durante la Seconda guerra mondiale. Regia di Robert Zemeckis, con Brad Pitt e Marion Cotillard

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Allied Un'Ombra nascosta, nelle sale cinematografiche Italiane dal 12 gennaio, riunisce le star Brad Pitt e Marion Cotillard in una spy story ambientata negli anni '40. Il film inizia in Marocco dove la spia canadese Max Vatan (Brad Pitt) e la combattente della Resistenza francese Marianne Beausejour (Marion Cotillard) sono coinvolti in una rischiosa missione oltre le linee nemiche. I due, sopravvissuti miracolosamente alla missione, si innamorano e decidono di trasferirsi a vivere a Londra dove si sposeranno ed avranno una bambina. Il comando però avvisa Max che Marianne potrebbe essere una spia tedesca e, nel caso l’informazione venisse confermata, lui dovrà giustiziarla personalmente o verrà impiccato per alto tradimento.
Diretti da Robert Zemeckis, i due attori protagonisti sembrano non restituire la giusta gloria all’ottima e complessa sceneggiatura di Steven Spielbrg.
Il film mantiene lo spettatore sul medesimo livello emozionale per tutta la sua durata: le scene di passione, di terrore, di smarrimento, di gioia, di dolore… vengono narrate, ma non accompagnate da un’adeguato corrispondente trasporto emozionale degli attori protagonisti.
Pitt sorprende per la fissità inespressiva del suo volto (che la chirurgia plastica stia penalizzando la sua vis artistica?), la Cotillard non è da meno: spalanca piu o meno i suoi belissimi ed enormi occhi verdi, ma sembra non faccia piu di questo.
Da un film di amore e spionaggio, ambientato nel corso del secondo conflitto mondiale, interpretato da due attori di quel calibro, ci si sarebbe aspettato di venir trascinati in un vortice di emozioni variegate quando non opposte. In nulla di tutto ciò sembrano –purtroppo- riuscire i due famosi attori.

In bici senza sella


Ricette anticrisi ed altri esercizi di sopravvivenza : un film corale sul precariato della nuova generazione di trentenni.

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In bici senza sella tratta il tema del precariato e si propone come manifesto della nuova generazione di trentenni. Ormai verità, non più solo quella: il precariato consiste ormai in un fenomeno che appare tanto grottesco quanto (forse?) irreversibile ed assolutamente trasversale: chiunque si approcci al mondo del lavoro in Italia, oggi, non può certamente pensare o – peggio – sperare di sedersi.
Il film è strutturato a d episodi legati da una voce narrante; ogni episodio ha per protagonisti dei precari che sono diversi per età, situazioni e contesti nei quali si trovano; tutti alla ricerca del contratto a tempo indeterminato ormai diventato un miracolo se non un vero e proprio miraggio.


Ognuno di loro trova degli escamotage molto diversi per tentare di restare in equilibrio in questa situazione di precariato ed instabilità perenne.


Gli escamotage proposti dal film (“ricette anticrisi ed altri esercizi di sopravvivenza”, come recita il sottotitolo), fanno del film stesso la rappresentazione cinematografica di un urlo di dolore lanciato a gran voce ma con silente, arguta ed efficace ironia. Una sorta di pulp fiction de’ noantri: si ride di gusto assistendo alla messa in scena di situazioni esageratamente grottesche ma dolorosamente reali. Si ride divertiti per tutto il film, ma come con Pulp Fiction si lascia la sala turbati e per qualche verso scossi.
Da non perdere.


XV edizione del Rome Independent Film Festival

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Torna a Roma da venerdì 25 novembre a giovedì 1 dicembre al Cinema Savoy di Via Bergamo il RIFF, la rassegna giovanile del cinema indipendente
Il "Roma Independent Film Festival" più semplicemente il RIFF , è il primo festival romano per il cinema internazionale indipendente. Per sei giorni e sei notti al Cinema Savoy (Via Bergamo) un programma denso di film, cortometraggi e documentari indipendenti da giovani cineasti provenienti da 24 nazioni Europee. Un programma ricco anche di retrospettive e seminari concernenti vari aspetti della cinematografia; non mancheranno anche collaborazioni con compagnie di danza e teatro, concerti e mostre. Per questa edizione la sezione fuori concorso vedrà protagoniste Usa, Spagna, Croazia e Bosnia Erzegovina tra cui la rassegna USA che comprende Awol di Deb Shoval, The Truth about lies di Phil Allocco, Wildlike di Frank Hall Green. Uno spazio sarà dedicato alla rassegna del cinema di Claudio Caligari che comprende i suoi tre film (Amore Tossico, L’odore della notte, Non essere cattivo) e per il ventennale della fine della guerra in Bosnia la Rassegna su Sarajevo – Storie di un assedio – che propone quattro lavori di Giancarlo Bocchi. Inoltre la rassegna croata Kinookus dove sarà presentato un lungo con la formula cine ristorante e la rassegna spagnola Alfiction in collaborazione con l’Istituto Cervantes che comprende 4 titoli: Hermosa juventud di Jaime Rosales, La mosquitera di Agustì Vila, Stella Cadente di Lluís Miñarro e Ártico di Gabriel Velázquez. Ci sarà anche quest’anno CINEMAINSEGNA, progetto che periodicamente coinvolge una scuola alla proiezione di un lungometraggio seguito dal dibattito con il regista. In chiusura verranno assegnati i RIFF Awards tra le varie categorie, da una giuria internazionale di esperti del settore.
il programma del RIFF

Veloce come il vento

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Un film di Matteo Rovere con Stefano Accorsi, Matilda De Angelis.




Ispirato alla vita del campione di rally Carlo Capone, ci regale una grande prova drammatica di Stefano Accorsi, dimagrito venti chili, con i denti ingialliti e il fisico tatuato, nei panni del “tossico” Loris De Martino, campione di rally, detto “il ballerino”, talentuoso pilota ormai sprofondato nel giro della droga. Anche sua sorella Giulia (Matilde De Angelis al suo esordio), a soli diciassette anni (bella la sua interpretazione del brano originale “seventeen” nella colonna sonora), ha la sua stessa passione e corre nella classe Gran Turismo. Alla morte del padre dopo una gara, si ritrovano insieme, con il fratello più piccolo. Loris dovrà aiutare la sorella a vincere per salvare la casa dai debiti. Il film è ben calibrato, adrenalinico, con bellissime riprese nei circuiti di Imola, Monza e Vallelunga.
E’ un film che esalta l’affetto tra fratelli e non fa nessun sconto alla tossicodipendenza. Forse nella secondo parte perde un po’ di ritmo ma non di suspense.

Perfetti sconosciuti

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Un gruppo di amici di vecchia data, trascorre insieme una serata a cena. Nel corso della cena, la padrona di casa si dice convinta che ognuno dei presenti abbia almeno tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta. La vita segreta la ritiene custodita nelle sim e, per questa ragione, se ogni rispettivo controllasse il contenuto del cellulare dell’altro, molti rapporti di coppia salterebbero. La provocazione viene accolta ed i presenti si prestano ad un gioco per cui tutti dovranno mettere il proprio telefono sul tavolo ed accettare di leggere sms/chat ad alta voce o ricevere telefonate in vivavoce perché possano essere ascoltate da tutti.
Questo semplice gioco provocatorio , si traduce in un progressivo massacro che porterà ad avvalorare la tesi di partenza: spesso le persone che abbiamo più vicine, non le conosciamo così bene come riterremmo.
Tuttavia l’amarezza della trama raggiunge il suo apice nel finale, inatteso, cinico, geniale …
Un film che propone allo spettatore un’onda crescente di disappunto, disincanto e solitudine ; e lo conduce per mano nel cavalcarla, prima ancora che egli capisca cosa stia cavalcando.
Sceneggiatore e regista mettono in piazza le debolezze più intime ed infime del genere umano; lo fanno con un sarcastico e piacevole gusto del ridicolo; una studiata ed attenta denuncia dell’inevitabile ma soprattutto lo fanno senza stereotipi sessisti: non si salva nessuno, né gli uomini né le donne.
Vien fuori il ritratto degli individui contemporanei e moderni quali già siamo o stiamo per diventare; persi nelle mille continue proposte di vite possibili, alternative o parallele indistintamente.
Individui che hanno perso la capacità di fermarsi, che hanno perso l’interesse ad interrogarsi su che vita desiderino percorrere, su quale segno del proprio passaggio aspirino a lasciare e se questo loro desiderio abbia un nesso relazionale concreto con la realtà che quotidianamente vivono.
Individui che sembrano tesi solo a riempire lo spazio che li separa dalla propria uscita di scena definitiva, anche a casaccio, purchè quel vuoto resti colmo e non risuoni la eco del nulla.
Colpa del telefonino?
Forse solo dell’uso che se ne fa; e l’uso che se ne fa sembra proprio restituisca la misura di chi siamo e …chissà che… alla fine, chi diventa seriamente un perfetto sconosciuto, non siamo proprio noi stessi.

Lo chiamavano jeeg robot

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Che cos’è un eroe? Se cerchiamo la parola “eroe” nel vocabolario, le definizioni più comuni riguardano una persona che esegue azioni fuori dal comune, non ordinarie e che dà prova di straordinario coraggio, specialmente in ambiti bellici. Sceglie il bene al posto del male, sacrifica se stesso per gli altri e ha sempre, o quasi, tutto da perdere e nulla da guadagnare.

Lo chiamavano Jeeg Robot, è un action movie Italiano, semi-fantastico, opera prima di Gabriele Mainetti che ne è anche il produttore.
Ambientato nella periferia romana di Torbellamonaca, sempre sotto un cielo plumbeo, prevale un’atmosfera in stile “romanzo criminale”, sia nello stile delle sequenze, sia nel pesante accento romano dei protagonisti.
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria, ingrassato venti kili per questo film) è un piccolo criminale di borgata, emarginato, solitario e senza amici. Per sfuggire ad un inseguimento della Polizia si butta nel Tevere sotto Ponte Sant'Angelo ed urtando un bidone radioattivo sommerso, acquista il potere di una forza sovraumana. Inizialmente non se ne accorge, coinvolto in un furto organizzato dallo “zingaro” (Luca Marinelli, che ha interpretato anche “non essere cattivo” opera ultima di Claudio Calligari), muore Sergio (Stefano Ambrogi, il “cozzaro nero” in Febbre da Cavallo 2”), padre di Alessia (Ilenia Pastorelli, dal Grande Fratello 12), una ragazza con problemi psichici ossessionata da Jeeg Robot d'acciaio. Enzo viene colpito da un proiettile cade giù dal palazzo, ma rialzatosi in piedi, scopre a casa di aver acquisito una forza eccezionale. Lo zingaro minaccia la ragazza, per cercare il padre. Alessia viene salvata da Enzo e vista la sua forza lo identifica in Hiroshi Shiba, il protagonista di Jeeg. Enzo, ragazzo chiuso e di poche parole, diviene un eroe virale su youtube quando rapina un bancomat sradicandolo letteralmente dal muro con la sua forza. Si innamora di Alessia e comincia un suo percorso di redenzione da ladro in eroe buono in antagonismo con lo zingaro.
Il film è girato con ritmo, azione e sequenzialità quasi fumettistica, è ricco di suspense e improbabili ma efficaci colpi di scena. La parte fantastica dei superpoteri, viene riassorbita dal disincanto romano, che permea il film, in tutto ciò che appare diverso ai più. Alla mancanza di valori complessiva, l’ansia di essere “visti”, di apparire in rete, si contrappone alla fine la redenzione di Enzo in eroe buono e periferico. Come afferma lo stesso regista, Enzo-Jeeg è un anteroe sullo stile de I guardiani della Galassia. Enzo, una volta scoperti i suoi poteri, non sente alcun dovere morale di salvare l’umanità, è solo un perdente che all’occorrenza riesce a compiere azioni straordinarie.
Scene cult: “un emozione da poco” di Anna Oxa cantata dallo Zingaro; lo stesso Zingaro che elimina la banda di Nunzia con sequenza al rallenty e sottofondo di “ti abbraccerò” di Nada; quando Enzo prendendo il prestito il motorino di un tifoso della Roma alla domanda: “ma tu come ti chiami? Risponde: “Hiroshi Shiba”, è il momento in cui Enzo consapevolizza, dopo aver salvato una bambina, di poter essere un eroe buono. Spettacolari le scene allo stadio girate proprio in curva sud tra il pubblico durante una partita della Roma e la lotta tra i due “superpotenziati” Enzo e lo Zingaro in pure stile da supereroi “american-Marvel”.
MyMovies scrive: «quello di Lo chiamavano Jeeg Robot è un trionfo di puro cinema, di scrittura, recitazione, capacità di mettere in scena e ostinazione produttiva, un lungometraggio come non se ne fanno in Italia, realizzato senza essere troppo innamorati dei film stranieri ma sapendo importare con efficacia i loro tratti migliori» e ne loda regia, montaggio e sceneggiatura, giudicandole ottime a discapito di un budget. Movieplayer promuove e scrive: «Gabriele Mainetti intuisce che, non potendo competere con i comic movie sul piano della forza produttiva, occorre adattare il genere alle caratteristiche italiche. Ecco la scelta di creare una sorprendente commistione tra noir, gangster all'italiana, fantasy, anime, action e commedia. Il regista dimostra di saper dirigere con mano sicura momenti drammatici e scene d'azione iperviolente che non sfigurerebbero in un film di Quentin Tarantino, ma non è l'ottima confezione il vero punto di forza del film. A catturare l'attenzione dello spettatore è la capacità di Mainetti di stupire in ogni sequenza con svolte narrative che imboccano direzioni impreviste».

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