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L’archivio di Stato di Genova declassato: smacco alla cultura

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Non è accettabile la declassazione di un Archivio che è oggetto dell'interesse di studiosi provenienti da tutto il mondo e che, considerati nei rispettivi ambiti culturali, ha un'importanza del tutto analoga a Pompei, al Colosseo e agli Uffizi.

Dopo le battaglie sostenute da molti per evitare la chiusura dell'Archivio di Stato di Genova dopo le conseguenze del periodo pandemico, sembrava che l'Istituto fosse stato messo in sicurezza, pur senza quelle risorse necessarie e con un'apertura al pubblico regolare garantita anche se mai ritornata all'originaria fruibilità. Oggi una nuova riforma arreca una offesa inaccettabile a Genova e un danno oggettivo al suo Archivio di Stato: l'istituto è stato declassato e non sarà più sede dirigenziale, un fatto inaccettabile perché è un segno tangibile della scarsa considerazione che il Ministero della Cultura continua a dimostrare nei confronti di uno degli Archivi più importanti del mondo, che avrà sempre meno risorse rispetto a quelle già scarsissime.
Gli artt. 822 e 824 del Codice Civile stabiliscono che gli archivi e i documenti degli enti pubblici sono soggetti al regime del demanio pubblico e pertanto sono inalienabili; inoltre, il “Codice dei beni culturali” (d.lgs. n. 42/2004) stabilisce che tutti i documenti e archivi degli enti pubblici appartengono al Patrimonio culturale nazionale (artt. 2 e 10). Secondo tali norme, gli archivi e i documenti pubblici sono sempre da considerarsi beni culturali, indipendentemente dalla loro età, tipologia o contenuto; dunque, tutti i documenti prodotti, ricevuti o conservati a qualsiasi titolo da una Pubblica Amministrazione possiedono fin dall’origine la duplice natura di atti pubblici e di beni culturali.
Questi importantisimi siti culturali sono organizzati su base territoriale, sono depositari degli Archivi degli Stati preunitari (fa eccezione l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, che conserva la documentazione prodotta da molti Uffici centrali dello Stato), versata allo scadere dei trent’anni dalla chiusura delle pratiche. Gli Archivi di Stato conservano inoltre gli atti notarili prodotti dai notai della Provincia che hanno cessato l’attività professionale da almeno 100 anni e la documentazione di enti pubblici estinti. Possono, infine, in presenza di specifici accordi, accogliere versamenti di documenti più recenti del trentennio, enti pubblici non statali o anche archivi privati (di famiglie, persone, imprese, istituzioni la cui documentazione sia considerata di interesse storico), in particolare quando sussistano rischi di dispersione o danneggiamento.
Oltre a conservare e a rendere fruibili i documenti per motivi di ricerca, preservazione della memoria di una comunità, garanzia dei diritti dei cittadini, gli Archivi di Stato curano lo studio, l’ordinamento, l’inventariazione, il restauro, la digitalizzazione dei materiali affidati; la valorizzazione del patrimonio custodito viene inoltre attuata attraverso pubblicazioni, la realizzazione di progetti web, l’organizzazione di iniziative di comunicazione e informazione come attività didattiche, convegni scientifici, mostre tematiche, visite guidate.
Parlare di Archivio risulta sempre tema evanescente, ma è necessario porre l'attenzione di tutti coloro che non lo sapessero che a Genova quel sistema dei palazzi dei rolli destinati all'ospitalità dei personaggi pubblici riconosciuto patrimonio dell'Umanità dall'Unesco e che porta alla città un grande flusso di turisti e conseguenti risorse finanziarie per l'indotto turistico è stato riscoperto proprio grazie alle antiche carte recuperate dall'Archivio.
La consistenza dell'Archivio di Stato di Genova assomma a 40 km lineari di documentazione che copre un arco cronologico dal 952 al 1980 circa.
Tra le serie documentarie vanno particolarmente evidenziati: il Fondo notarile più antico del mondo, 8 cartolari del XII secolo, oltre 150 del XIII, 420 del XIV, oltre 1000 filze del XV (il primo cartolare, appunto il più antico del mondo, è quello del notaio Giovanni Scriba che data al 1152).
L’Archivio della Casa di San Giorgio: 40.000 unità archivistiche contenenti una quantità di documenti sconfinata che riguardano non solo l’attività bancaria, ma l’amministrazione del debito pubblico genovese, le istituzioni private che i nobili genovesi destinarono alla beneficenza e al sostegno dei propri clan familiari e dei propri discendenti, la riscossione delle gabelle sulle varie tipologie di merci che transitavano dal porto di Genova, compresi marmi, tessuti pregiati e opere d’arte destinati a membri del grande patriziato cittadino. Una larga parte della documentazione riguarda la gestione delle colonie del Mediterraneo e del Mar Nero, della Corsica e delle località strategiche del dominio, Ventimiglia, Pieve di Teco, Levanto, Sarzana, Lerici, che il governo genovese pose sotto il controllo del Banco di San Giorgio in modo da sottrarle alle guerre di fazione tra i grandi casati che si contendevano il potere.